Si dice generalmente che, in quest’epoca di informazione pervasiva e onnipresente, le cose accadono veramente soltanto se qualcuno ne parla. È un po’ il destino che sta subendo l’emergenza umanitaria di queste settimane ai confini sud-orientali dell’Unione Europea. Schiacciata dall’emergenza coronavirus, la notizia di decine di migliaia di persone ammassate in condizioni disumane sulle sponde del fiume Evros fatica (è il minimo che si possa dire) a rendersi minimamente visibile sui nostri quotidiani e nei nostri notiziari. Nulla di nuovo in tema di migrazioni, argomento politicamente scomodo di cui ci si occupa solo quando si è trasformato in un’emergenza ineludibile. La differenza sostanziale con quanto sta accadendo al confine greco-turco nelle ultime settimane è che ora l’emergenza è già in atto. La situazione (come era largamente prevedibile) è già degenerata, e lo dimostrano le testimonianze degli osservatori in loco (giornalisti e operatori umanitari) reperibili sulla stampa internazionale e sui siti specializzati.
Un quadro confuso, nel quale nessuno può dirsi innocente
Gli accordi UE-Turchia del 2016, stipulati su basi fragilissime, e per di più sotto la pressione dell’emergenza profughi in Europa, sono stati almeno parzialmente disattesi da entrambe le parti1. Dopo diversi avvertimenti in tal senso, Ankara ha effettivamente iniziato ad usare i rifugiati presenti sul proprio territorio (3,5-4 milioni, a seconda delle stime) come un arma nei confronti dell’Europa, ancora traumatizzata dall’arrivo di un milione di richiedenti asilo lungo la rotta balcanica cinque anni fa. E allora, passando dalle parole ai fatti, alla fine di febbraio la Turchia ha aperto i suoi confini al passaggio di migliaia di migranti, mettendo addirittura a disposizione, secondo alcuni, autobus della gendarmeria. Data l’impossibilità di attraversare la frontiera bulgara, chiusa da una recinzione di filo spinato, i migranti si sono diretti verso il confine greco, solo per essere respinti dalle forze speciali di Atene appoggiate, se così si può dire, dai militanti di estrema destra vicini ad Alba Dorata: questi ultimi, armati ed equipaggiati di tutto punto, hanno aggredito non solo i migranti stessi, ma anche giornalisti e personale delle agenzie umanitarie presenti sul posto2. Ma i circa 13.000 migranti giunti in questi giorni alla frontiera sud-orientale d’Europa sono ben pochi in confronto ai circa 950.000 (stime ONU) che stanno cercando di entrare in Turchia dalla regione siriana di Idlib (dove Ankara sta tentando di affermare il proprio controllo con un’offensiva militare), e che potrebbero anch’esse essere indirizzate verso i confini europei. La Turchia sostiene infatti di aver finora speso 40 miliardi di dollari per il sostentamento dei rifugiati sul proprio territorio.
La Grecia, per parte sua, ha reagito con estrema durezza a questa situazione, non soltanto sul terreno3, ma anche dal punto di vista istituzionale: il governo Mitsotakis ha infatti sospeso unilateralmente per tutto il mese di marzo la Convenzione di Ginevra, impedendo così ai migranti di esercitare il proprio diritto alla richiesta di asilo. La stessa UNHCR è intervenuta a stigmatizzare la decisione di Atene, sottolineando che questa non ha alcuna base legale: uno Stato aderente alla Convenzione (come appunto la Grecia) non può certo negare a chi si presenta ai suoi confini la possibilità di fare richiesta di asilo. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 78.3), invocato in questo frangente da Atene, può al massimo consentire al Consiglio di “adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro interessato”, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo (https://www.unhcr.org/news/press/2020/3/5e5d08ad4/unhcr-statement-situation-turkey-eu-border.html).
E l’Europa cosa fa?
In questa drammatica situazione (che abbiamo qui tentato di riassumere per sommi capi), l’unica preoccupazione dell’Europa sembra essere quella di tenere i migranti fuori dai propri confini e impedire loro di avvicinarsi al cuore del proprio territorio, mettendo in campo un rozzo ma composito armamentario fatto di strumenti finanziari, di rafforzamento dei confini e di collaborazione con stati-cuscinetto a ridosso delle proprie frontiere esterne4.
Il Trattato di Schengen (1995) se da una parte ha reso più agevoli gli spostamenti interni dei cittadini europei, ha posto le premesse di un rafforzamento delle frontiere esterne, culminato nel 2004 con la creazione dell’agenzia Frontex. La stessa Frontex, che fino ad ora ha fatto affidamento esclusivamente su forze di polizia fornite di volta in volta dagli Stati membri, sta ora mettendo in piedi un proprio contingente autonomo di 10.000 uomini, per costituire la Guardia di Frontiera e Costiera europea. La proposta della Commissione è stata ufficialmente approvata dal Consiglio l’8 novembre scorso. (cfr. http://www.integrazionemigranti.gov.it/Attualita/Notizie/Pagine/Frontex,-si-del-Consiglio-alla-nuova-Guardia-di-Frontiera-e-Costiera-Europea.aspx). La piena operatività della Guardia, che disporrà di propri aerei, imbarcazioni e veicoli di terra, è prevista per il 20215. Un piccolo esercito a tutti gli effetti, pronto ad intervenire ad ogni richiesta degli Stati membri, sotto il comando di questi ultimi.
Nell’attuale crisi al confine greco-turco, Frontex, non avendo ancora a disposizione questa nuova risorsa, ha comunque deciso di rafforzare con ulteriori 100 unità la propria presenza a fianco della Grecia, finora forte di 500 uomini (https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/frontex-launches-rapid-border-intervention-on-greek-land-border-J7k21h).
Oltre a ciò, l’Unione europea, che durante la crisi finanziaria greca non si è mostrata particolarmente flessibile con il proprio Stato membro, ha messo a disposizione di Atene 700 milioni di Euro (in due di pari importo) per “la gestione integrata delle migrazioni e delle frontiere”, come si legge in un comunicato stampa del Consiglio del 4 marzo scorso. Ma la notizia forse più rivelatrice del nervosismo degli Stati membri riguardo alle possibili conseguenze dell’attuale crisi arriva proprio mentre scriviamo, e riguarda l’intenzione della Commissione (comunicata dalla Commissaria agli Affari Interni Johansson) di mettere una somma di 2.000 euro a disposizione di ciascun migrante trattenuto nei centri di detenzione sulle isole greche, a patto che faccia ritorno nel proprio paese di origine. Anche all’interno della propria logica poco lungimirante (pagare i migranti perché si allontanino, invece di mettere in piedi un serio programma di ricollocazione negli Stati membri) la misura appare largamente insufficiente, in quanto limitata a 5.000 persone, e a condizione che abbiano fatto ingresso in Grecia prima del 1° gennaio 2020: un investimento di 10 milioni di euro su 5.000 persone, quando nei cinque campi sulle isole si assiepano ormai da anni oltre 40.000 migranti (di cui la metà soltanto a Lesbo). Come si notava in apertura, l’emergenza Coronavirus da una parte fa passare in secondo piano la nuova crisi dei migranti sul confine greco-turco, e dall’altra mette in risalto la già nota mancanza di visione politica a medio-lungo termine sulla questione migratoria. Ma i migranti, giova ripeterlo, non sono un’epidemia, grave quanto si vuole ma temporanea, sono un aspetto strutturale e tendenzialmente permanente all’interno degli equilibri mondiali. Forse, per decidersi ad agire veramente, Coronavirus e emergenza profughi dovrebbero saldarsi l’una all’altra. Ma questa è un’altra storia.
Paolo Attanasio
1. Per un approfondimento sulle origini della crisi, si veda Centro Studi e Ricerche IDOS, “No Man’s Land, Osservatorio sulla rotta balcanica”, gennaio 2020, curato da William Bonapace e Maria Perino.
2. Per maggiori dettagli si rimanda a: Paul Hockenos, Europe’s Morality is Dying at the Greek Border”, in Foreign Policy, 1 March 2020.
3. Si veda, in particolare, “Fortezza Europa”, in Left, n. 10 del 12 marzo 2020, pagg. 6-17.
4. Cfr. Fondazione Migrantes, Il Diritto d’Asilo, Report 2019.
5. Le informazioni sono tratte da: European Commission, A Reinforced European Border and Coast Guard, November 2019.
Paolo Attanasio è redattore Idos Dossier Immigrazione per Friuli Venezia Giulia.