I nostri amici di Progetto Comunità Sud ci hanno inviato l’ultimo numero di Àlogon, la loro newsletter che vi invitiamo a leggere https://www.comunitaprogettosud.it/news/ci-restiamo-in-calabria-logon-126.
Abbiamo selezionato per i nostri lettori un articolo che ci pare particolarmente interessante. Il viaggio di Assad, simbolo della resistenza e della determinazione contro ogni contingenza, in fuga dalla sanguinosa guerra civile in Somalia, passando dai pericoli in Turchia, sopravvissuto al naufragio di Cutro, fino al ricongiungimento familiare in Finlandia.
L'infanzia interrotta
La storia di Assad inizia in Somalia, a Mogadiscio, una zona in cui le bombe e i proiettili sono un rumore costante. In uno scenario di guerra civile quasi cronica, l’infanzia di Assad scorre comune a quella di molti bambini, tra mattine a scuola e scorribande con gli amici, fino a quando un pomeriggio il suo destino cambia per sempre, spezzando la sua infanzia. Una bomba cade sul palazzo dove viveva la sua famiglia, nell’esplosione restano uccisi la madre, il padre e i due fratelli. A salvarsi sono soltanto la sorellina di soli tre anni, non presente in casa, il fratello maggiore, in Etiopia, e Assad, che rimasto ferito entra in coma. Dopo un periodo in ospedale si trasferisce con la sorella dagli zii, spera di ricostruire un ambiente familiare confortevole, ma presto scopre di non sentirsi benvoluto. Privo di affetto, viene costretto ai lavori domestici, vittima di maltrattamenti ad opera dei cugini e degli zii. Dopo quella instabilità in casa, affiliarsi alle milizie ribelli di Al-Shabab potrebbe essere una soluzione, una causa da abbracciare, ma Assad non si lascia sedurre dalla propaganda jihadista; decide di stare al fianco della sorella, la sua unica ragione per resistere. Ben presto, senza genitori, si trova a essere un bambino-adulto gravido di responsabilità. Assad, del resto, è un nome che significa Leone, un nome di fantasia da lui scelto per questa storia che esemplifica il suo coraggio. Intanto, il fratello giunto in Finlandia avvia il ricongiungimento con la sorella più piccola, mentre per Assad, pur ricevendo la promessa che un giorno si sarebbero ritrovati tutti e tre insieme, si profila un’attesa dai tempi incerti. Col passare degli anni l’insofferenza cresce, e all’ennesimo episodio di violenza si procura un passaporto falso e decide di salire verso una delle tappe intermedie che lo separano dal fratello e dalla sorella: la Turchia.
Vivere da invisibile
Nell’ostilità e nei confini militarizzati turchi, inaspriti dall’accordo con l’Ue per esternalizzare le frontiere, inizia la permanenza di Assad che durerà per circa un anno. In quei mesi, tra molteplici difficoltà, fa fronte al terremoto che il 6 febbraio colpisce il sud del paese. Avvisa il fratello soltanto una volta arrivato, il quale gli consiglia di pazientare così da accedere a canali più sicuri per arrivare in Finlandia. Coi soldi che riceve dal fratello, trova un appartamento e si sostiene senza dover lavorare. In questo tempo sospeso, vive con Abdoukar, considerato come un cugino, appartenente allo stesso villaggio, con cui condivide il sogno di oltrepassare la fortezza Europa. Entrambi, privi di documenti, con il timore di essere rimpatriati dalla polizia, sperimentano una condizione di presenza-assenza, una vita da invisibili, ai margini. Movimenti sottotraccia, passi discreti, gesti furtivi. Fino a quando decidono di scostarsi dall’ombra della clandestinità e raggiungere l’Italia, in ogni modo. Contattano dei trafficanti per attraversare il Mediterraneo, un viaggio attraverso il deserto o il mare, che, come garanzia, ha la peculiarità di essere pagato per intero soltanto una volta giunti a destinazione. A farsi da garante è il fratello di Abdoukar. Assad invece tiene all’oscuro il suo. Trovato l’accordo vengono trasferiti nella connection house, gestiti dalla criminalità organizzata, luogo di contenimento di donne e uomini, tra sfruttamento e prostituzione coatta. Dopo alcune partenze rimandate a causa delle condizioni del mare, riescono a imbarcarsi in un caicco carico di 180 persone, tutte accomunate dalla speranza di approdare sani e salvi in Italia.
Le urla silenziose di Cutro
La speranza però si spegne la notte del 26 febbraio. Il caicco si arena su una secca vicino alla costa di Steccato di Cutro, facendo riversare tutti in mare: uomini, donne, bambini, i più incapaci di nuotare. La gioia, scoppiata alla vista dei primi bagliori delle luci costiere, si tramuta in morte. Assad riesce ad aggrapparsi a un frammento di legno, lasciandosi trasportare fino alla riva. Di Abdoukar nessuna traccia. All’alba, decine di corpi esanimi vengono rigurgitati dalle acque. I primi ad accorrere sul posto sono due pescatori, precedendo le autorità preposte che, pur ricevuta la segnalazione anzitempo da parte di Frontex, non attivano alcuna operazione di salvataggio. Della serie di inchieste e polemiche che ne scaturisce, resta la crudezza della strage: 94 vittime, di cui molte donne e bambini, con alcuni dispersi mai riemersi dalle acque. Tra questi, si aggiunge anche il nome di Abdoukar, uno degli ultimi corpi estratti dal mare. Per i superstiti invece non c’è altra alternativa, se non quella di riemergere da quella notte. Assad, disorientato e fragile, si ritrova nel C.A.R.A (centro di accoglienza per richiedenti asilo), dichiarato erroneamente maggiorenne. Servendosi delle poche risorse linguistiche, riesce a far modificare le proprie generalità acquisendo con la minore età il diritto ad essere accolto all’interno del sistema S.A.I. (sistema accoglienza integrazione) per minori stranieri non accompagnati. Un circuito di accoglienza che prevede strutture di piccole dimensioni per agevolare un percorso d’inclusione sociale su misura delle persone, trascendendo la sola distribuzione di vitto e alloggio. È in questo momento che la strada di Assad e della comunità (SAI) Luna Rossa si incontrano.
L’accoglienza a Luna Rossa: dal trauma alla rinascita
Luna Rossa è un servizio della Comunità Progetto Sud: a seguito della strage, ha mostrato fin da subito la sua vicinanza ai parenti delle vittime, unendosi a un momento di preghiera presso il PalaMilone di Crotone. Dichiarandosi poi disponibile ad accogliere Assad, un ragazzo che dal punto di vista fisico appariva debole e riportava alcuni tagli sui piedi che si erano infettati. Inoltre, manifestava i sintomi di un disturbo post-traumatico, con stress, ansia e disturbi del sonno. Dopo la diffidenza iniziale, rafforzata dal timore di allontanarsi da una ragazza somala conosciuta in Turchia, gli operatori e il mediatore riescono a convincerlo a fidarsi. Il percorso di accoglienza trascorso a Luna Rossa non è stato affatto facile e ha impegnato duramente l’intera équipe multidisciplinare, dagli psicologi, agli assistenti sociali fino agli operatori legali. Tra tutti, il trauma di quella notte da elaborare, un’ombra che lo seguiva passo dopo passo, causando una sensazione di malessere quotidiano. Dinanzi a ciò, i ragazzi accolti a Luna Rossa non hanno mai perso occasione di dargli sostegno, in particolare Ibrahim, il ragazzo somalo, con cui si è creato un rapporto affettivo, fraterno. Un punto di riferimento, una roccaforte dentro cui ripararsi, un compagno con cui ritornare con la mente ai giorni in Somalia. Gradualmente, Assad si inserisce sempre più nel gruppo, prende parte alle lezioni di alfabetizzazione, ai laboratori, sostiene i ragazzi al torneo Refugees Team. In lui riemerge una serenità che aveva perduto e si rianima il sogno di raggiungere la Finlandia. Nei mesi di accoglienza il lavoro di Luna Rossa si è concentrato proprio nel ridargli nuova linfa per il futuro. In un processo disorientante come quello migratorio il pericolo è quello di smarrire lungo la strada la propria identità, un processo che la comunità cerca di contrastare. Difatti, all’interno di Luna Rossa non vi è un tran-tran di volti senza un passato, ma persone con storie, specificità, progetti di vita da conseguire, ponendo l’accento su una cura che sfugge da generalizzazioni, da una lente che osserva il fenomeno migratorio attraverso una logica quan- titativa fatta di flussi, ondate, statistiche, facendo dissolvere la dimensione identitaria. Grazie a questa attenzione personalizzata, Assad è riuscito a riottenere una stabilità psicofisica e riaffacciarsi al futuro. Per merito del duro lavoro degli operatori legali, la Finlandia ha approvato il ricongiungimento familiare, nonostante le resistenze e i dinieghi, giungendo quasi a richiedere il test del Dna. Una notizia che fa ritornare sul volto di Assad una gioia incontenibile. Prima della partenza esaudisce il desiderio di tornare sul luogo dove si è consumato il naufragio e salutare per l’ultima volta il cugino, il compagno di viaggio che con lui condivideva la stessa speranza. Alcuni giorni dopo l’arrivo in Finlandia riceviamo un suo video che lo ritrae insieme alla sorella e al fratello, con un sorriso smagliante e occhi che luccicano per l’emozione. Pur sapendo che le difficoltà per lui non sono terminate, tra tutti l’integrazione nella società finlandese, il pensiero che li affronterà insieme alla sua famiglia ci rende ottimisti. La storia di Assad è la testimonianza di una caparbietà dirompente pari a quella gravitazionale che muri, confini, mari, fili spinati non possono arrestare. È la storia di un Odisseo moderno che si mette in viaggio per il mondo, insieme a tanti altri costretti a fuggire oggigiorno, a fuggire da guerre, fame, regimi militari, politiche migratorie repulsive, risospinti dall’impulso di raggiungere una vita migliore. È una storia che merita di essere raccontata per coloro che si mettono in viaggio, e per coloro che sono chiamati ad accogliere.
Brandisio Baldini
ÀLOGON 2024 - N. 126
foto credit: archivio redazione