Homo migrans

Primavera di guerra e migrazioni climatiche


Durante una visita organizzata dal FAI (Fondo per l'ambiente italiano) in Darsena a Ravenna pochi giorni fa, dall'ultimo piano di una bella costruzione che ospita l'Autorità Portuale, il mio gruppo ha potuto ammirare, oltre alle opere d'arte contenute nel palazzo, anche le macerie della zona industriale abbandonata da decenni. 

Il pensiero è andato a Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, allo sguardo di Monica Vitti sulla desolazione industriale degli anni '70 e contemporaneamente ai palazzi sventrati dalle bombe in Ucraina nell'ultimo mese. 

I primi profughi in fuga dalla guerra sono giunti nella nostra regione. La macchina dell'accoglienza, dopo la generosità iniziale, comincia a mostrare alcune crepe: intanto nella selezione dei migranti, già dalla Ucraina e Polonia, le polizie hanno fatto passare verso ovest i bambini e le madri chiaramente locali, ricacciando centinaia di studenti africani e orientali che studiavano a Kiev. 

Chi scrive ha visto, grazie ai servizi di alcune emittenti straniere, diversi episodi di violenza compiuti per allontanare dai treni in partenza verso l'occidente queste persone, suscitando anche le proteste dell'Organizzazione degli Stati Africani. 

La situazione internazionale si somma alla cronica disorganizzazione italiana, abituata a gestire le emergenze, siano esse ambientali (leggi terremoti o alluvioni) che migratorie, senza programmare a medio e lungo termine misure efficaci e stabili. 

A proposito delle migrazioni ambientali, un report di Legambiente pubblicato da poco (I migranti ambientali. L’altra faccia della crisi climatica scarica il dossier), ci offre un quadro realistico e cupo.

Ingiustizia ambientale, climatica e sociale costituiscono un mix tossico che rischia di deflagrare entro il 2050. 

L'UNHCR ha calcolato che al 2010 c'è stato lo spostamento forzato di 40 milioni di persone, passato nel 2020 a 80 milioni a livello globale.

Questo a causa di guerre, inondazioni, carestie ed epidemie, non ultima quella del Covid 19. 

Il rifugiato ambientale non è ancora riconosciuto dalle leggi internazionali, ma costituisce già una percentuale significativa degli spostamenti forzati a livello planetario; sarà ancora più evidente nei prossimi anni se non cambiamo modelli di sviluppo agricolo e industriale (accordi di Parigi 2015 e Cop 26 di Glasgow appena concluso). 

Non bastano più i bla bla bla, come denunciato con forza da Greta Thunberg già mesi fa. 

Ultime note: il report di Legambiente studia il fenomeno degli sfollati interni (Siria in guerra civile) e anche quello che emerge dai milioni di profughi da tempo insediati in paesi “in via di sviluppo”: una miscela esplosiva a breve. 

Nel frattempo la fortezza Europa tenta, con la esternalizzazione delle frontiere, di tenere a distanza i "barbari": numerosi esempi, anche ai nostri confini italiani, sono denunciati da ASGI e Gianfranco Schiavone.

Maurizio Masotti 
[Aprile 2022]

Foto: credit Carla Babini (ANSELM KIEFER Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce, Palazzo Ducale Venezia, dettaglio)