Presentato in concorso al Festival di Cannes 2022 e vincitore del Premio Speciale per il 75° anniversario, Tori e Lokita uscirà nelle sale italiane il prossimo 24 novembre. Ho avuto il privilegio di vederlo alla Viennale (Festival del cinema di Vienna) in versione originale: opportunità che, senza nulla togliere al talento indiscusso dei doppiatori italiani, permette di apprezzare appieno la magistrale interpretazione attoriale dei due giovani protagonisti.
I fratelli Dardenne, vincitori di due Palme d’oro a Cannes per Rosetta nel 1999 e per L’enfant – Una storia d’amore nel 2005, tornano ad avvicinarsi al “cinema del reale” sulla scia del Neorealismo italiano e francese, ma con uno sguardo che evoca la compassione civile cara a Ken Loach, in un’opera che rimanda ai temi fondanti della loro cinematografia, dalla marginalità all’emigrazione, dallo sfruttamento alla condizione dei sans papiers.
Anche lo stile, la costante del “pedinamento dardenniano” dei personaggi, i primi piani intensi ma sempre rispettosi dell’interiorità degli interpreti, la “giusta distanza” con cui la macchina da presa segue il loro agire nello spazio scenico, che tanto ricorda il nostro Zavattini, sembra tornato quello delle loro opere migliori.
Tori e Lokita, interpretati dagli straordinari esordienti Pablo Schils e Joely Mbundu, sono due giovani migranti che affrontano insieme le infinite difficoltà per ottenere il riconoscimento legale in Belgio.
Sin dalle prime scene appare evidente la fragilità della storia con cui Lokita tenta di convincere i funzionari della Commissione che Tori -a cui il permesso è già stato accordato per motivi umanitari- sia il fratellino che lei ha ritrovato in orfanotrofio. L’impegno ossessivo con cui i ragazzi ripetono i dettagli del loro -fittizio- passato comune ci immerge immediatamente nel dramma di una quotidianità costantemente in pericolo. Mentre Tori reagisce con una frenetica attività e cerca senza sosta soluzioni, Lokita appare paralizzata dall’incapacità di opporsi alla violenza del presente e all’incertezza del futuro.
La “fortezza Europa” difende pervicacemente i suoi confini e anche in questo caso respinge chi cerca rifugio, costringendo i due ragazzi ad una vita di espedienti sempre più drammaticamente connotati da criminalità e sfruttamento.
I Dardenne, come Ken Loach, continuano ad ambientare le loro storie esemplari nei rispettivi Paesi d’origine e così il Belgio in questo film assume il valore paradigmatico di un luogo contemporaneamente connotato e assoluto nella sua simbolicità.
Quel che avviene a Tori e Lokita richiama dunque ciascuno di noi ad una forte responsabilità: il privilegio di chi è nato in un Paese democratico e non è costretto a nascondersi o a commettere reati per sopravvivere non è un diritto acquisito ed immutabile, ma deve venire difeso ed allargato a chi si trova in condizione di difficoltà.
Per documentarsi, durante la fase di scrittura della sceneggiatura, Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno visitato centri di accoglienza per rifugiati, venendo a contatto con molti minori non accompagnati in esilio.
Hanno così scoperto l’inferno vissuto dai bambini durante il viaggio verso l’Europa e la profonda solitudine che sperimentano una volta “arrivati”.
Da qui, dalle storie ascoltate, nasce l’idea di raccontare l’amicizia tra due adolescenti, un legame più forte e tenace di quello parentale, fondato sulla complicità e sulla solidarietà.
Legame che fin dalle prime scene del film viene esplicitato dalla memoria comune di una canzone che Tori e Lokita hanno imparato a Lampedusa, tappa del loro lungo viaggio, Alla fiera dell’Est, in italiano nella versione originale, metafora emblematica della loro esperienza di vita.
La legge del più forte è ancora e sempre la dominante nel mondo in cui vivono. Nel mondo in cui viviamo tutti.
Eppure quel che resta e “continua a lavorare” dopo la visione del film, anche a distanza di giorni, è la grazia di questi due ragazzi, la loro infaticabile resistenza.
Tori e Lokita sono tutti i bambini, tutte le donne e gli uomini esiliati, sopraffatti, feriti e uccisi.
La loro forza è quella della vita. Un monito per ciascuno di noi.
Carla Babini
[novembre 2022]