Da un anno, il “problema" dell’immigrazione non fa più notizia, non è più argomento di dibattito, per cui si infuocavano gli animi di destra e di sinistra e di cui si è a lungo abusato nelle campagne elettorali infinite degli ultimi anni. Questo avviene perché l'emergenza sanitaria che stiamo vivendo sposta inevitabilmente l’attenzione mediatica su altri drammi che il mondo intero si trova ad affrontare. Ma, a quanto pare (e per fortuna), questa volta, per il Covid-19 non è stato possibile dare la colpa agli immigrati.
Il nuovo segretario PD, Enrico Letta, parlando della sua agenda politica, ha avuto il coraggio di elencare lo Ius Soli, tanto toccato durante i comizi nelle piazze, ma che, ancora una volta, appena giunto nei palazzi di governo viene accantonato ed archiviato nel dimenticatoio dell’omertà politica. Una dichiarazione, quella di Letta, che ha subito suscitato la reazione dei partiti di destra che, sentitisi colpiti nel vivo, sono partiti al contrattacco con un Matteo Salvini che minaccia, addirittura, di far cadere il "governo dei migliori”.
Ma com’è possibile, mi chiedo, che in Italia, paese democratico, occorra avere coraggio, andare controcorrente, sollevarsi come voce fuori dal coro per rivendicare un diritto, un sacrosanto diritto dell’umanità?
Sento politici di tutte le bandiere e colori declamare l'Italia come paese democratico e di diritti e, dopotutto, sono fermamente convinta che sia così. È contro chi l’Italia la governa che io punto il dito: alla destra per la sua indole conservatrice e xenofoba, alla sinistra per la sua discrezione ed irresolutezza, per la mancanza di coraggio, per non dire peggio; e ancora una volta a pagarne lo scotto sono i cittadini, la gente comune, spesso le categorie più deboli, senza voce, i cui diritti non vengono riconosciuti.
Di quali diritti, di quale democrazia, di quale giustizia si parla quando vengono negati persino i diritti fondamentali per affermare l'identità di una persona nata e cresciuta sul suolo italiano? Gli italiani senza cittadinanza sono tanti: sono quelli nati negli ospedali italiani, iscritti all'anagrafe del comune di residenza, che in Italia frequentano asili nido, scuole dell'obbligo, atenei universitari, giocano nelle piazze, frequentano palestre, cinema, biblioteche e discoteche, partecipano a tornei di calcetto, competizioni sportive, concorsi di scrittura e giochi matematici. Sempre in Italia son cresciuti, hanno preso la patente, lavorano e versano le tasse allo Stato, hanno messo su famiglia e si sono radicati al tessuto sociale, divenendone parte attiva. Tanti fra questi “italiani non italiani” non conoscono nemmeno la cultura del paese di provenienza dei loro genitori, se non in modo superficiale, ma hanno, invece, interiorizzato la cultura italiana, usi, costumi e tradizioni in cui si riconoscono e che sentono loro. Eppure da tutto ciò vengono esclusi: basti pensare che non possono nemmeno votare per avere una giusta rappresentanza politica e dar voce ai diritti da sempre ad essi negati ed etichettati, senza distinzione alcuna, come “stranieri”. Negando la cittadinanza a questa categoria, tanto vasta quanto eterogenea, si creano tanti problemi e difficoltà nel vissuto quotidiano, oltre ad un profondo danno psicologico per l’individuo. Lo Ius Soli è un diritto, non un dono, non una gentile concessione, né compassionevole benevolenza: è un diritto inalienabile e come tale va riconosciuto ed attuato il prima possibile. È aberrante e deplorevole al contempo che in un paese civile ci siano persone che hanno adempiuto ai loro doveri perché fosse loro riconosciuta la cittadinanza italiana, ma mantengono lo status quo di straniero e continuano a vedere non riconosciuti i loro diritti, individui che lottano per ottenere un pezzo di carta da cui dipende la loro identità e senza il quale il loro futuro in Italia è incerto, vivono in bilico (pensiamo solo a quante posizioni lavorative sono riservate a soli cittadini italiani).
Certo, ci sono anche stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana, per fortuna, la cosiddetta “prima generazione”, ma è anche grazie a loro che si palesa la necessità di applicare lo Ius Soli. Io stessa ho conosciuto più persone “italianizzate” agli occhi della legge, con tanto di giuramento sulla costituzione, che, di fatto, conoscono poco o nulla circa la cultura italiana e che, ancorati solo alla loro cultura di origine, non s'impegnano minimamente per integrarsi nella società. Talvolta si tratta di padri e madri di famiglia, genitori di questa nuova generazione in lotta per affermare i propri diritti, che, purtroppo, come spesso accade, entrano in un conflitto culturale con i genitori, contrari al modo di vivere “occidentale”, soprattutto per quanto riguarda le ragazze. Così continua ad accadere che il genitore tradizionalista non conceda la cittadinanza per punire il/la figlio/a disobbediente. Negando lo Ius Soli non solo si nega un diritto fondamentale ad una vasta fetta di abitanti in Italia, ma si offre terreno fertile a queste forme di ingiustizia che passano in sordina, a realtà in cui il patriarcato ancora agisce indisturbato e la fa da padrone, a mentalità chiuse ed antiquate che vogliono impedire ai desideri e ai sogni dei giovani di prendere il volo. Questi cittadini si sentono vittime dello Stato, traditi dalla stessa società a cui hanno scelto di appartenere e, in certi casi, la reazione a cui si assiste è davvero forte, lascia spiazzati, altre volte meno. Spesso le ragazze appartenenti a famiglie islamiche mettono il velo, ne fanno una bandiera di appartenenza e solo così hanno l’impressione di sentire finalmente affermata la loro identità; nei casi più disperati, si avvicinano persino a gruppi estremisti o terroristici.
A tale proposito, mi torna alla mente una conversazione avuta con un giornalista francese di Parigi, che ho avuto l’occasione di incontrare pochi anni fa, e che, parlando di banlieue parigine mi ha confermato quello che ho sempre pensato. La malavita, gli atti vandalici, talvolta persino terroristici che affliggono quei luoghi non sono che il frutto di una politica inadeguata in tema di immigrazione, che ha portato i lavoratori stranieri a ritrovarsi ai margini della società, abbandonati, esclusi e dimenticati. E, dopo di essi, la stessa sorte è toccata ai loro figli ed ai figli dei loro figli… fino a quando sono esplosi.
Non esiste giustificazione alla violenza ma, proprio al fine di evitarla, dalla storia si può imparare e migliorare. E se c’è una lezione certa è proprio questa: da sempre i discriminati, gli emarginati, le vittime silenti di soprusi ed ingiustizie hanno finito per raggiungere il punto di non ritorno, con conseguenze più o meno catastrofiche. Per cui, anche noi non abbiamo più tempo da perdere, occorre agire in fretta, riconoscendo questi cittadini per quel che sono: una grande risorsa per il loro paese, l’Italia. Non ci dimentichiamo, tra l’altro, del declino demografico che, da decenni ormai, ci angoscia attraverso numeri e statistiche sempre più sconfortanti e che, senza il contributo di questi “non cittadini”, l’Italia sarebbe già tristemente ed irrimediabilmente condannata ad essere un paese di vecchi. Pertanto il mio concitato appello alle classi politiche è proprio questo: non sprecate questa inestimabile ricchezza, ma investite in essa! Ed un altro personale appello voglio lanciarlo ai leader di sinistra soprattutto: per risolvere la questione è necessario affrontare il problema alla base, partendo dall’aspetto legislativo che, in materia d’immigrazione, è regolato da norme non più attuali, se non antiquate ed oltrepassate (l’ultimo testo risale al 1998, oltre vent’anni fa).
Saadia (Souad) Khaldoune
[31 marzo 2021]
Saadia (Souad) Khaldoune, nata in Marocco, da oltre 30 anni vive in Italia, a Faenza. Mediatrice culturale, femminista convinta, da sempre cerca di difendere i diritti dei più deboli in un mondo dove, anziché diminuire, aumentano le diseguaglianze e il patriarcato continua a regnare. E' vice Presidente di Tracce Migranti ODV di Ravenna.