“25 anni dall’erranza del migrare” è il titolo della mostra che si inaugura oggi, 20 gennaio, alle 17:30, alla Biblioteca “A. Oriani” di Ravenna. Si tratta della presentazione dell’Archivio fotografico e documentale, curato da Maurizio Masotti, presidente di Tracce Migranti ODV, che racconta tante storie, tante vite e tanti volti. Quelle dei migranti, di chi lascia la propria terra in cerca di speranza e di nuove opportunità. O spesso, purtroppo, solo per cercare di sopravvivere. A Ravenna il percorso di conoscenza di uno spazio fino ad allora inesplorato, quello della immigrazione, inizia nel 1998, con un convegno organizzato da Cgil, Caritas e Coop. Il Mappamondo all’Hotel Mokadoro di Ravenna. Ben 25 anni, fino ad arrivare all’ultimo giorno di dicembre dell’anno appena trascorso, con lo sbarco a Porto Corsini dei 113 naufraghi dell’Ocean Viking, in fuga dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria e dal Camerun. La mostra, che si può visitare fino al 27 gennaio, ripercorre questi lunghi anni e cerca di rappresentare come sono cambiate, in rapporto al fenomeno dell’immigrazione, le nostre generazioni, il nostro modo di pensare e di agire, la società nazionale e quella locale, i nostri bisogni e così quelli dei migranti e delle loro famiglie sul territorio. Maurizio Masotti, nato a Mezzano, ha tenuto corsi di lingua italiana per stranieri, organizzando anche stage in aziende agrituristiche della Toscana. Ha lavorato a progetti di ricerca in Emilia-Romagna, in collaborazione con le amministrazioni del territorio, i sindacati, il mondo cooperativo e le università e curato mostre e volumi fotografici in Italia e all’estero, sempre trattando il tema dell’immigrazione. Dal 2020 è presidente di Tracce Migranti ODV, organizzazione di volontariato che si occupa di immigrazione a vari livelli.
Maurizio Masotti, il visitatore cosa deve aspettarsi dalla sua mostra?
«La mostra è un archivio personale, che ripercorre questi 25 anni, proponendo fotografie e documenti di vario tipo. Il titolo rimanda al convegno “Il Villaggio globale e l’erranza del migrare”, tenutosi a Ravenna il 24 aprile del 1998. Una data per me importante, perché ha segnato l’inizio del mio percorso nel campo dell’immigrazione. Il nostro territorio, come testimonia emblematicamente il lavoro del Teatro delle Albe a partire da RUH (Ravenna più Africa uguale) del 1987, si misurava col fenomeno migratorio già dall’inizio degli anni ’80. In questi anni ho attivamente partecipato a diversi progetti, curando volumi e mostre fotografiche, promuovendo presentazioni di ricerche e dossier e partecipando alla vita delle associazioni culturali. Mi sembrava importante condividere questa esperienza per stimolare il confronto e il dialogo nella città in cui sono tornato a vivere dopo molti anni trascorsi all’estero».
Lei ha vissuto e lavorato in vari Paesi del mondo, anche come volontario nell’assistenza a migranti e rifugiati. Cosa si cerca di comunicare attraverso queste fotografie?
«La mostra espone i miei scatti e quelli di molti miei amici, che dal 2000 ad oggi, ultimo episodio l’arrivo dell’Ocean Viking con a bordo i migranti sulle coste ravennati, mi hanno aiutato ad arricchire l’archivio. Quel che vorrei condividere con il pubblico, è l’esperienza di uno sguardo aperto agli stimoli e alle contaminazioni: siamo tutti migranti in qualche modo, siamo tutti in cammino. Noi siamo anche “gli altri”: dovremmo sempre ricordare che ogni battaglia per i diritti di qualcuno è anche la nostra».
Rispetto al 1998, può dirci secondo lei cos’è cambiato ad oggi nell’immaginario comune italiano?
«Penso che negli ultimi tempi il nostro Paese si sia incattivito, come ho detto e ripetuto in altre interviste. Gli immigrati sono stati ritenuti responsabili di crisi e difficoltà nazionali, secondo un vecchio trucco che ha sempre funzionato, assecondando il mainstream, indipendentemente dal colore politico dei governi. Ravenna ha tentato, con il Festival delle Culture e altre iniziative (penso alla Settimana contro il razzismo, alla presentazione del Dossier Idos immigrazione ecc.), di andare controcorrente e distinguersi nel panorama nazionale. C’è ancora molto da fare, serve però impegno e volontà politica».
Lei è presidente di Tracce Migranti ODV, oggi quali sono le difficoltà di queste associazioni?
«Tracce Migranti è nata due anni fa. In tutto siamo 10 soci fondatori (un “fritto misto” di nazionalità sparso in tutta Italia) e abbiamo diversi collaboratori in Europa, in Africa del nord, Austria, Germania e Inghilterra. Le difficoltà maggiori? Sicuramente la burocrazia, a volte totalmente inutile, che ostacola il nostro lavoro e generalmente il mondo del volontariato e il terzo settore. Vi invito a visitare il nostro sito www.nuovetracce.org, che spazia dalla cultura alla fotografia, dal cinema alla politica e società, dalle voci migranti alla poesia».
Ha una sua idea in merito al fenomeno dell’immigrazione? Che tipo di difficoltà e problemi pensa ci siano alla base, oltre che di tipo governativo, politico e normativo?
«Siamo consapevoli che lavorare volontariamente nel campo della immigrazione, in questi tempi duri e con normative che ricordano lo sciagurato periodo 2018-2019, sia diventato sempre più difficile. Un esempio per tutti: in Italia c’è quasi un milione di ragazze e ragazzi nate/i qui o arrivate/i nei primi anni di vita. Quasi un milione di persone che vivono, studiano nel nostro Paese, ma sono in un limbo giuridico, in attesa di ricevere la nazionalità. In un periodo di inverno demografico che durerà per più lustri, secondo le previsioni ONU, pensiamo all’arricchimento culturale e sociale che ne può derivare. Con buona pace del “prima gli italiani”. Se ci sono voluti 30 anni per catturare un boss mafioso, non c’è da sperare in tempi brevi per mettere in pratica questa urgente normativa, troppo a lungo dimenticata per ignavia politica ed elettorale».
Erika Digiacomo
Parola Aperta - Magazine interculturale
(parolaapertamagazine.it)
Foto: credits Carla Babini