Febbraio è – dagli anni ‘70 del Novecento – il Black History Month, o meglio il National African-American History Month. Riconosciuto ufficialmente dal Governo americano nel 1976, bicentenario dell’indipendenza, è celebrato anche in Canada, mentre Irlanda, Paesi Bassi e Regno Unito lo ricordano in ottobre. Le origini di questa ricorrenza risalgono agli anni Venti, quando lo storico afroamericano Carter Woodson, dell’Associazione per lo studio della storia e della vita degli afroamericani indisse la prima “settimana della storia dei neri” (Negro History Week) facendola cadere nella seconda di febbraio, intorno alle date di nascita del presidente Abraham Lincoln (12) e di Frederick Douglass (14), abolizionista, uomo politico e di cultura afroamericano.
Di recente il concetto di Black History Month è stato criticato (tra gli altri, dall’attore Morgan Freeman e dall’attrice Stacey Dash) per il suo accento sulla componente razziale, che in qualche modo separa la storia afroamericana da quella americana, oltretutto confinandola in un mese specifico invece di integrarla. Ma bisogna tenere conto del contesto storico-politico in cui è nato e delle intenzioni per cui è stata creata, cioè la volontà di riscoprire e rivalutare i protagonisti della storia afroamericana soprattutto nelle scuole, dove l’informazione era molto lacunosa, anche se poi questo ha portato talvolta all’eroizzazione un po’ semplicistica di figure storiche complesse.
Ciò che rimane ancora valido è la volontà di sottolineare il contributo della popolazione afroamericana alla storia e alla cultura statunitensi, o meglio (capovolgendo lo sguardo) di fare conoscere le persone e gli eventi di quella che si può chiamare la “diaspora africana” originata dallo schiavismo. Questo vale anche per le Chiese, in cui gli afroamericani hanno spesso avuto un ruolo determinante, come hanno ricordato molte denominazioni – metodiste episcopali, presbiteriane, battiste – richiamando alla memoria diverse figure. Da Richard Allen e Absalom Jones, fondatori della Chiesa metodista episcopale africana, creata a Philadelphia nel 1792. Alla presbiteriana Lucy Craft Laney, fondatrice e direttrice dell’Haines Institute di Augusta, Georgia, nel 1883, figlia di schiavi riscattati che a 4 anni sapeva leggere e scrivere e a 12 traduceva senza difficoltà dal latino. Ma forse una delle donne presbiteriane afroamericane più conosciute è la matematica, informatica e fisica Katherine Johnson, che ha festeggiato cento anni lo scorso agosto, la prima donna afroamericana a riceve la medaglia presidenziale per la libertà, nel 2015, e alla cui storia nella Nasa (insieme alle colleghe Dorothy Vaughan e Mary Jackson), che portò il primo astronauta statunitense nello spazio, è stato dedicato il film Il diritto di contare del 2016.
Nel 2019 sono stati celebrati culti particolari, sottolineando (come ha dichiarato Shanea Leonard, pastora associata per la giustizia razziale e di genere nella chiesa presbiteriana di Louisville, nell’articolo pubblicato da The Presbyterian Outlook) «non tanto il dolore della schiavitù quanto il trionfo di ciò che significa essere nero in America: quindi non soltanto il Dio degli oppressi, come ci ricorda il nostro caro fratello James Cone [teologo metodista statunitense, tra i maggiori esponenti della black theology, NDA] ma il Dio dei dotati, dei giubilanti, degli intelligenti, dei resilienti, di coloro che incarnano l’intangibile “spirito nero” (spirit of blackness), totalmente e senza giustificarsi. Questo culto ricorderà ai presenti che essere una persona di fede, un cristiano, ci chiama a essere un popolo che celebra l’altro come parte di un’interezza che costituisce il corpo di Cristo. Fedeli al nostro Dio che ci ama e fedeli alla nostra terra madre, o alla nostra cultura che modella la nostra esperienza unica e irripetibile».
Sara Torun
Articolo tratto da www.labottegadelbarbieri.org
Ripreso da Riforma-it, «quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia».